Sono stufo. Stanco di insulti gratuiti, di offese ricevute solo perché provo a condividere informazioni che possono aiutare i miei connazionali a convivere e a orientarsi in una realtà culturale diversa dalla nostra: la Germania. Scrivo perché ho fatto scelte concrete insieme a mia moglie, ho riflettuto, ho valutato rischi e benefici — tutto per il futuro dei miei figli. Non accetto di essere attaccato da chi non sopporta che qualcuno possa provare a migliorare la propria vita.
Voglio raccontare perché siamo venuti qui, perché ne sono convinto e perché ogni attacco basato su stereotipi danneggia chi, come noi, cerca soltanto stabilità e dignità.
Non è stata una fuga immotivata né una scelta fatta a cuor leggero. Prima di partire ci siamo fatti un milione di domande, ci siamo informati, abbiamo valutato prospettive professionali e qualità della vita. L’obbiettivo era semplice: dare un futuro migliore ai nostri figli.
In Italia ho visto troppe persone laureate e brillanti costrette ad accettare lavori sottopagati, stage senza prospettive, contratti precari o addirittura lavoro nero. Ho visto giovani con titoli di studio finire sfruttati, costretti a due ore di viaggio al giorno per uno stage pagato poco, isolati da una rete che non li valorizzava. Questo non è un’opinione: sono storie che conosco, le ho viste da vicino e non volevo lo stesso destino per la mia famiglia.
Qui, nella realtà in cui viviamo ora, dopo la scuola i giovani vengono spesso immersi direttamente nel mondo del lavoro con contratti e tutele più chiare. Non è perfetto — nessun luogo lo è — ma offre opportunità concrete e meno sfruttamento sistemico.
Una delle ragioni decisive per noi è la sicurezza: qui posso lasciare i miei figli prendere il tram, la metro, andare a scuola senza quel timore costante che ti mangia la serenità. Non è paranoia: è la possibilità materiale di vivere senza avere sempre un occhio dietro la nuca. Per una famiglia è tutto: la libertà di muoversi, di tornare a casa la sera senza paura, di far crescere i figli con autonomia.
Se qualcuno interpreta questo fatto come snobismo o tradimento della patria, rispondo così: non si tratta di rinnegare le proprie radici, ma di mettere al primo posto il benessere della propria famiglia.
Sono partito anche perché non volevo che i miei figli vivessero la frustrazione di vedere anni di studio buttati via. Qui ho visto percorsi che permettono di mettere a frutto competenze e di essere pagati dignitosamente. Ho visto rispetto per la professionalità — non sempre, ma abbastanza da giustificare la scelta.
Non dico che in Germania tutto funzioni alla perfezione: anche qui ci sono contraddizioni, problemi abitativi, sfide dell’integrazione. Ma la differenza sta nella possibilità di costruire qualcosa di stabile: un lavoro con regole, una scuola che prepara, servizi che funzionano. Per me — e per la mia famiglia — questo è quello che conta.
Mi infastidisce profondamente il moralismo di chi, insoddisfatto della propria vita, giudica la scelta altrui come se fosse un’offesa personale. Nessuno mi ha obbligato a venire qui. Nessuno mi ha minacciato. Sono venuto perché ho scelto per la mia famiglia. Se domani decidessi di andare a vivere in Tanzania o altrove, lo farei senza rimorsi, perché la libertà di scelta è il nucleo della nostra responsabilità.
Chi piange la propria situazione e inveisce contro chi prova a cambiare le cose dovrebbe ricordare una cosa: nessuno ci ha promesso che la strada sarebbe stata facile. Ma abbiamo il diritto di cercare condizioni migliori. Non è egoismo: è responsabilità.
Uscite da una mentalità chiusa e ottocentesca. Guardate il mondo con realismo: l’Italia è e rimarrà nel mio cuore — la amo profondamente; il cibo, il clima, la cultura sono incredibili. Ma il fatto di amare un paese non significa che la tua vita debba restare lì se quello che conta è il benessere della tua famiglia.
La scelta di andarsene non è un tradimento, non è un giudizio morale sull’Italia: è una scelta per avere una vita migliore. E se non vi piace, fatevi una domanda: cosa state facendo per cambiare la vostra situazione? Lamentarsi non basta.
Molti commenti offensivi nascono da stereotipi: “i tedeschi sono freddi”, “è tutto meccanico e senza cuore”, “tutta la Germania è uguale”. Sono generalizzazioni che non reggono alla prova della realtà. Qui ho trovato persone accoglienti, colleghi disponibili, scuole attente. Ho trovato anche regole ed efficienza: elementi che danno dignità al lavoro e sicurezza alla famiglia.
Se il mio post aiuta anche una sola persona a decidere con più informazioni e meno paure, allora ho fatto qualcosa di utile. Non ho l’obbligo di piacere a chi preferisce restare nella critica facile e nella polemica.
Chiedo rispetto. Non voglio scontri inutili né offese. Chi si pronuncia con epiteti e parolaccie solo per il gusto di farlo sara' bloccata e i commenti rimossi. Se non condividete la mia scelta, va bene — fate le vostre riflessioni e rispettatele, come io rispetto le vostre scelte. Ma smettiamola con gli insulti. Se avete informazioni diverse, argomentatele: il dibattito è benvenuto quando è civile e costruttivo. La diffamazione e l’offesa gratuita non cambiano nulla, feriscono persone reali e allontanano chi potrebbe invece essere aiutato.
Io non ho rimpianti. Ho fatto la scelta per i miei figli, per la mia famiglia, per la loro serenità. Ho guardato oltre, ho faticato, e continuo a farlo. Questo è il mio racconto, e se vi è utile, prendetelo come spunto di riflessione. Se non vi è utile, non attaccatemi per questo e passate avanti
Grazie a chi legge con rispetto. Per gli altri: fatevi un favore, provate ad aprire la mente — il mondo è più grande e più complesso delle etichette con cui lo riempiamo.
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